Riflessione al MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO IV GIORNATA MONDIALE DEI POVERI di Domenica XXXIII del Tempo Ordinario 15 novembre 2020. “Tendi la tua mano al povero” (cfr Sir 7,32)
L’incontro con il povero, il bisognoso, ci provoca, tenta di superare gli argini dell’indifferenza. Talvolta è un’indifferenza di autodifesa, un egoismo di sopravvivenza dinanzi a tanto dolore. Più spesso è un’indifferenza superficiale, di abitudine, di omologazione al comportamento dei più. Talvolta si tratta di complicità almeno tacita con chi provoca e supporta le sperequazioni economiche e il depauperamento del significato di umano, provocando degrado sociale ed emarginazione, ma anche degrado spirituale e della vita interiore in chi problemi economici non soffre, ma non impara a usare le proprie capacità relazionali, empatiche, di con-divisione.
Il Santo Padre mette al centro della Sua riflessione il Povero e lo indica nella sua concreta umanità quale paradigma dell’umanità contemporanea, derubata della dignità e della gioia, della pace, del necessario per vivere nella condizione della sua propria umanità.
Mentre troppi poveri sono privi dei beni di prima necessità, molti altri sono bisognosi di riscoprire la propria dignità umana; altri ancora hanno perso la propria capacità di amare e di farsi veicolo, canale di vita, di partecipazione alla vita. Che fare?
Egli si chiede come possiamo contribuire ad eliminare o, almeno, ad alleviare l’emarginazione e la sofferenza, come possiamo aiutare l’uomo nella sua povertà spirituale. La comunità cristiana è chiamata a spendersi e a capire che non le è lecito delegarla ad altri.” Non possiamo sentirci ‘a posto’ quando un membro della famiglia umana è relegato nelle retrovie e diventa un’ombra. Il grido silenzioso dei tanti poveri deve trovare il popolo di Dio in prima linea, sempre e dovunque, per dare loro voce, per difenderli e solidarizzare con essi davanti a tanta ipocrisia”.
Il riferimento al Siracide indirizza la riflessione verso l’originarietà di questa istanza: l’andare incontro al proprio simile in difficoltà appartiene da sempre al vivere insieme, proprio dell’essere umano e viene già registrato dall’autore ispirato del Libro come una norma di sapienza, di saper incarnare la propria umanità al meglio e di essere capace di scrutare a fondo le vicende della vita. Il fatto che l’Autore scrivesse in un momento di dura prova per il popolo d’Israele, in un tempo di dolore, lutto e miseria a causa del dominio di potenze straniere, può <mentre siamo in scacco di potenze straniere> ricordarci che: “tenere lo sguardo rivolto al povero è difficile, ma quanto mai necessario per imprimere alla nostra vita personale e sociale la giusta direzione. Non si tratta di spendere tante parole, ma piuttosto di impegnare concretamente la vita, mossi dalla carità divina”. Tuttavia, non si tratta di un’opzione, ma di un modo di vivere. Infatti, il Santo Padre ricorda che: “La scelta di dedicare attenzione ai poveri, ai loro tanti e diversi bisogni, non può essere condizionata dal tempo a disposizione o da interessi privati, né da progetti pastorali o sociali disincarnati. Non si può soffocare la forza della grazia di Dio per la tendenza narcisistica di mettere sempre sé stessi al primo posto”.
Anche se la Chiesa non ha soluzioni complessive da proporre, – anche perché alla luce della distanza tra chiesa e potere politico l’umanità può crescere in comprensione critica e coscienza, può crescere eticamente – la Chiesa però, con la Grazia di Cristo, può testimoniare un’umanità che condivide.
Andare incontro al povero è senz’altro in prima istanza rispondere alle sue esigenze primarie – e il Siracide ci esorta a gesti di concretezza – ma farlo significa cominciare ad abbattere il muro dell’indifferenza e cominciare a sentirci al suo posto, con lui. Entrare in empatia. Erodere il male della nostra contemporaneità che è lo spegnersi dei neuroni dell’empatia, i neuroni specchio. Scegliere di farlo nonostante la nostra scarsa propensione e testimoniare che Grazia di Dio e Volontà dell’uomo possono stringere mani, asciugare lacrime, donare sorrisi, non solo riso.
Se, dunque, questo andare incontro ai bisogni dell’altro ci aiuta a rispondere alle esigenze di chi ha bisogno, contemporaneamente cura anche la povertà di chi finora è rimasto chiuso nella sua casa, nella sua parrocchia, nel suo giro di amici, nella sua tradizione, nel suo punto di vista. Forse la chiesa in uscita significa anche imparare a mettere in movimento i sentimenti, il proprio modo di comprendere la realtà, le proprie sicurezze. Diversi ordini della carità insegnano che il sorriso e l’ascolto sono le cose più preziose che si possano donare. E lo insegnano anche numerosi volontari laici che pensano di non avere fede in Cristo, perché hanno incontrato sempre testimoni grigi, chiusi nei dogmi e nelle stanze.
Il Siracide insegna anche questo: che l’andare incontro all’altro, sentendosi al suo posto, entrando in empatia – o se si preferisce – sentendolo fratello, significa comprendere il proprio limite, la propria vulnerabilità, l’essere esposti alla morte, come il povero, come tutti. Allora è più facile parlare di fraternità. Ed è bello che il Papa non sia solo a parlarne, ma che da più parti, culture diverse, sensibilità diverse lo facciano, come in un coro di un’umanità martoriata che riprenda a guardare alto. Una tra tutti la filosofia femminista contemporanea lo fa.
La pandemia ha come evidenziato in modo estremo questo limite e, se ha tragicamente tolto la vita a milioni di persone, ha infuso nuovo coraggio nell’umanità a causa di quanti (tanti) si sono spesi a rischio contagio e fino alla morte per la vita degli altri. Sono stati degli esempi i medici e gli operatori sanitari, ma anche i volontari e quanti in prima fila per il proprio lavoro, non si sono sottratti al loro dovere. Dunque, questa generazione non è malvagia o disumanizzata, ce la fa, è capace di entrare in empatia e di amare. Perché alla fine di amore si tratta. E non è facile, perché ne abbiamo paura. Ancora come nell’Eden ci nascondiamo alla Sua voce. Il Nostro Cardinale Arcivescovo, nella sua ultima lettera Pastorale Seppellire i morti, ci fornisce, al termine di essa alcune interessanti indicazioni di percorso pastorale caritativo. Infatti bisogna soccorrere i defunti non con le lacrime, ma con le preghiere, le elemosine e la carità Spesso -dice Papa Francesco- quando la morte arriva “ci troviamo impreparati, privi anche di un ‘alfabeto’ adatto per abbozzare parole di senso intorno al suo mistero che, comunque, rimane”.
Carissimi fratelli e sorelle, continua il Cardinale, eravamo abituati ad un’esistenza troppo spesso spensierata e superficiale, siamo stati colti d’improvviso da eventi che hanno sconvolto le nostre abitudini, il nostro stile di vita. Siamo stati travolti da uno smarrimento che ha minato le nostre certezze, da un’inquietudine che sembra non aver fine. Sono venute meno le convinzioni su cui finora avevamo fondato i nostri progetti di vita, spesso miopi, chiusi in ristretti orizzonti Riusciamo a vedere che il quotidiano diventa eroico, se raggiunto appena da un briciolo d’amore e di responsabilità, come è accaduto in questi mesi a tanti medici, infermieri, assistenti sanitari. A tanti che spontaneamente si sono messi a servizio della comunità per assistere chi era caduto per strada. “Siamo tutti sulla stessa barca”: è stata l’esperienza forte di questo tempo, bisognosi gli uni degli altri, chiamati a riscoprire la dimensione comunitaria della vita. Non ci si salva da soli; non si può morire da soli, come è successo a tanti anziani nei tanti istituti dove avrebbero dovuto vivere protetti e in pace. Bisogna riscoprire la saggezza del vivere insieme, come una grande famiglia dove si condividono gioie e dolori. Le nostre comunità parrocchiali devono essere sempre più famiglia di famiglie dove valgono non solo i legami di sangue, ma anche quei legami nati dallo Spirito di Dio perché in un mondo dominato dall’’io’ si viva la bellezza e la gioia del ‘noi’. A ragione S. Giovanni Crisostomo diceva: «Bisogna soccorrere i defunti non con le lacrime,ma con le preghiere, le elemosine e la carità». “Seppellire i morti” non significa solo dare una dignitosa sistemazione ad un cadavere; è un affacciarsi sul mistero della vita che la fede –soprattutto in queste circostanze – ci aiuta a scoprire nel suo approdo eterno, nella sua attitudine di anticipare nella carità il senso alto della sua missione. Il sorriso dolce della Vergine ci sia di conforto, mentre ci dedichiamo ad asciugare le lacrime del tempo, in attesa di contemplarla da vicino nel giorno senza tramonto, quando «non vi sarà più morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Apoc 21,4).
Oltre alle indicazioni ed alle iniziative diocesane,sempre tenendo presente le misure anti-covid, ogni comunità è invitata a manifestare il suo essere caritatevole promuovendo iniziative con la realtà parrocchiale e locale. È opportuno che le comunità, nella settimana precedente la Giornata, si impegnino a creare momenti di preghiera, momenti di incontro, di amicizia, di solidarietà e di aiuto concreto per quanti soffrono. Un ricordo particole nella preghiera dei fedeli. Creare momenti di incontro e di amicizia, di solidarietà e di aiuto, invitare alla Messa, avvicinarsi ai poveri, accoglierli alla mensa, imparare da loro: non basterà certo una settimana per praticare questo programma nelle nostre parrocchie! La Caritas parrocchiale potrebbe riunirsi per tempo, magari insieme al Consiglio pastorale, per tradurre in agenda le concrete indicazioni del Papa , volte a maturare uno stile di attenzione verso i poveri e di comunione con essi capace di convertire pian piano il volto stesso della comunità.
Infine non possiamo trascurare il forte e semplice richiamo che Francesco fa alla preghiera come fondamento delle iniziative concrete verso e con i poveri e al breve commento che ci offre nel Messaggio sul Padre nostro come preghiera dei poveri. Sarà semplice ed efficace cogliere e realizzare brevi occasioni (in famiglia, con i bambini e i ragazzi al catechismo, nei gruppi, tra amici, nei momenti del volontariato e degli impegni, prima o dopo le celebrazioni, a casa degli ammalati…) per recitare insieme il Padre nostro, per i poveri e con loro, magari premettendo la lettura delle poche ma incisive righe che il Papa gli dedica appositamente. Tutto questo culminerà nella celebrazione Eucaristica di Domenica XXXIII del Tempo Ordinario
15 novembre 2020 novembre .Sabato 14 novembre, vigilia della IV Giornata dei poveri, ci incontreremo, sempre con le misure anti-covid, presso la Casa Comunità delle genti, voluta dal Cardinale , per un momento di riflessione dove i poveri pregheranno con noi e parleranno a noi. Detto incontro è presieduto dal Nostro padre Vescovo. Seguirà programma dettagliato.
La Caritas Diocesana rimane a completa disposizione per ogni supporto alle iniziative caritatevoli che verranno intraprese in tutto il territorio diocesano, anche indicando le realtà a cui serve una mano(mense, opere segno etc) o altro. Buon lavoro e ogni bene a tutti .
Don Enzo Cozzolino